Ritiro dei cookie di terze parti, quali sono le motivazioni che hanno spinto a questo ulteriore rinvio e per quale motivo può essere un vantaggio per chi lavora nel settore del digital marketing e per le aziende. Diamo una definizione dei cookie e del perché siano così importati per comprendere le abitudini d’acquisto degli utenti, ma sopratutto cerchiamo di fare il punto e di capire come lavorare senza quelli delle terze parti.
C’è chi lo chiama “Cookiepocalypse” e “Cookiegeddon”, entrambe denominazioni alquanto inquietanti che mettono un po’ di agitazione, ma di cosa si tratta? Ebbene, per chi fosse a digiuno delle novità, si tratta semplicemente del momento in cui scadrà il blocco dei cookie annunciata a luglio. Per ora il ritiro dei cookie è stato posticipato, vediamo i dettagli.
Ritiro dei cookie di terze parti, di cosa si tratta
Prima di tutto definiamo, rapidamente, cosa sono i cookie, per chi ancora non avesse ben chiaro l’argomento. Per farla breve, si tratta della memorizzazione di frammenti di dati degli utenti che navigano su un sito, conosciuti come cookie http. Grazie a queste informazioni, quando ritorni su un sito che hai già visitato, come per esempio un eCommerce, questo “ti riconosce” e ti fornisce informazioni personalizzate in base alle tue precedenti navigazioni su quel portale.
Lo scopo dei cookie, quindi, è quello di rendere migliore l’esperienza della navigazione per l’utente. I cookie, però, non sono tutti uguali, ce ne sono di due tipi: quelle di prima parte e quelli di terza parte. Quelli di prima parte sono quelli che vengono salvati direttamente dal sito web in cui l’utente sta navigando quelli di terze parti, invece, possono essere trasmessi a altri siti web diversi da quello in cui si sta navigando.
Questo è, naturalmente, un breve riassunto, la cosa è un po’ più complessa, ma per quello di cui parleremo è sufficiente per capire che si è generato un problema di privacy che, come è facile immaginare, comporta diversi aggiornamenti e cambiamenti, soprattutto per i siti.
Cosa dice il regolamento generale dell’Unione Europea sulla protezione dei dati
Il GDPR è l’attore deputato alla vigilanza sulla privacy degli utenti, è lui a controllare le modalità in cui gli inserzionisti raccolgono i dati degli utenti e come vengono custoditi. Al momento, per quanto concerne i cookie di terze parti, alcuni li hanno già vietati, come per esempio Safari della Apple, mentre Google aveva annunciato il blocco per il 2023.
Ribadisco il concetto, i cookie di terze parti vengono impostati da un dominio diverso da quello in cui si sta navigando. Lo scopo è prettamente pubblicitario e in realtà le intenzioni non sarebbero negative. Pensa a quando navighi per cercare uno smartphone. Sei su un sito e stai valutando i modelli presenti. Non sei soddisfatto o in quel momento, per un motivo qualsiasi, non effettui l’acquisto.
In seguito ti ritrovi a navigare sul web e ti compare un annuncio che ti mostra esattamente lo smartphone che stavi valutando. Ecco, questo è possibile grazie al tracciamento effettuato dai cookie di terze parti.
Dove sta quindi il problema? Se i cookie di terze parti migliorano l’esperienza dell’utente perché il GDPR è intervenuto? Purtroppo, anche alla luce di eventi fraudolenti, gli utenti sono diffidenti: oltre l’80% pensa che rilasciare troppi dati alle aziende sia rischioso, per cui era inevitabile che si arrivasse a una forma di regolamentazione.
Più nello specifico, nell’Unione Europea, in principio si è favorito l’utilizzo dei pop-up di consenso ai cookie, tuttavia, in seguito ai cambiamenti a livello globale, i principali attori si stanno adeguando.
Come ho detto prima, Safari, il browser della Apple, ha bloccato il tracciamento di tutti i cookie di terze parti e non è più possibile tracciare le abitudini d’acquisto dei consumatori con le usuali tecnologie.
Un altro importante browser, Firefox, ha bloccato tutti i cookie di tracciamento di terze parti già dal 2019. E Google? Chrome ha iniziato a bloccarne alcuni dal gennaio 2020 e aveva assicurate di completare l’eliminazione dei cookie di terze parti entro il 2022/23. Ma davvero è così? Ovviamente no.
“Cookiegeddon” rimandato al 2024 il ritiro dei cookie
Il ritardo del ritiro dei cookie -annunciato a luglio- è ufficiale. Google, infatti, sta testando le sue Privacy Sandbox Api, per cui il cosiddetto “Cookiegeddon” è stato rimandato, almeno per ora, al 2024 e non più alla fine del 2023.
Per chi lavora nel settore della pubblicità online si tratta di un annuncio particolarmente felice perché permette di avere più tempo per organizzarsi e adeguarsi a quelle che saranno, inevitabilmente, le novità.
Questa non è la prima volta che Google rimanda la dead line del ritiro dei cookie di terze parti e questa volta il motivo è da ricercare proprio nella necessità di maggior tempo per testare e di conseguenza valutare, le nuove tecnologie di Privacy Sandbox.
Come si muoveranno le aziende
Ovviamente non sappiamo leggere la sfera di cristallo o le carte, quindi fare previsioni sul futuro lascia il tempo che trova, tuttavia, possiamo immaginare che gli scenari futuri vedranno le aziende e i professionisti del digital marketing adeguarsi ai cambiamenti in atto.
Adeguarsi alla sempre più impellente necessità di chiarezza e trasparenza è un processo inevitabile e questo lasso di tempo in più, ricordo, fino al 2024, servirà proprio per rendersi conto di come sarà più utile organizzarsi senza poter contare sull’utilizzo dei cookie e quindi dei dati degli utenti di terze parti, andando -sicuramente- a implementare i dati di prima parte.
Su cosa si dovrà puntare
Ovviamente la raccolta delle informazioni sugli utenti è finalizzata all’acquisizione di nuovi clienti, cercando di mirare la pubblicità su un determinato target e personalizzando quanto più possibile le offerte. Dal 2024 questo sarà un percorso a ostacoli, soprattutto in virtù delle crescenti necessità di custodire i propri dati degli utenti.
Ovviamente si potrà comunque fare digital marketing in modo proficuo, percorrendo però altre vie. Sarà determinante a visibilità dei siti, quindi la SEO e la link building continueranno a giocare un ruolo fondamentale.
Più un sito è visibile, più facile è che venga visitato dal suo target e che gli utenti si convertano in clienti. Acquisire visibilità però non è solo una questione di contenuti ottimizzati con parole chiave, ma è un insieme di fattori a determinare quale posto le pagine e i siti web occuperanno sulla SERP di Google.
La link building, in quest’ottica è fondamentale. Ottenere dei link da siti autorevoli, infatti, fa si che parte della loro autorevolezza venga acquisita dal sito che viene linkato, in questo modo viene percepito come più autorevole e utile da Google e riesce a ottenere un posizionamento migliore sulla SERP.
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Non farti spaventare dai cambiamenti, cavalca l’onda e pensa che il cambiamento è sempre una nuova opportunità.